Santa Bakhita a Schio
Dal 1902 madre Giuseppina Bakhita visse dell’ordine a Schio dove trascorse il resto della propria vita. Qui lavorò come cuciniera, sagrestana, aiuto infermiera nel corso della Prima guerra mondiale quando parte del convento venne adibito ad ospedale militare.
A partire dal 1922 le venne assegnato l’incarico di portinaia, servizio che la metteva in contatto con la popolazione locale che prese ad amare questa insolita suora di colore per i suoi modi gentili, la voce calma, il volto sempre sorridente: venne così ribattezzata dagli scledensi (cioè dagli abitanti di Schio) “Madre Moréta”.
Nel convento delle suore canossiane visse gli ultimi anni della sua vita la “Madre Morèta”. Papa Giovanni Paolo II l’ha proclamata santa il 1º ottobre 2000, anno del giubileo.
Bakhita si esprimeva in lingua veneta e alcune sue frasi ed espressioni sono diventate famose.
Parlava di Dio come el Parón: «queło che vołe el Parón», «quanto bon che xé el Parón», «come se fa a no vołerghe ben al Parón» (“quello che vuole il Signore”, “quanto buono è il Signore”, “come si fa a non voler bene al Signore”).
Di se stessa: «Mi son on povero gnoco, come gai fato a tegnerme in convento?» (“Non valgo niente, come hanno fatto a tenermi in convento?”).
Alla sua morte avvenuta l’8 febbraio del 1947 la salma venne inizialmente sepolta nella tomba di una famiglia scledense, i Gasparella, probabilmente in vista di una successiva traslazione nel Tempio della Sacra Famiglia del convento delle Canossiane di Schio, traslazione poi avvenuta nel 1969.